L’arte partecipativa di Takako Saito

da | 28 Settembre 2021 | arte, Articoli

Probabilmente non molti di voi avranno sentito parlare di Takako Saito e della sua arte partecipativa. Anche gli studiosi internazionali sembrano averla trascurata: forse a causa della sua modestia e riservatezza, o al suo spirito cosmopolita che l’ha trattenuta dal legarsi a un solo luogo per molti anni. Eppure, lungo il corso della sua prolifica carriera, sono diverse le opere degne di interesse, tra scacchiere immaginifiche, melodiose cascate di cubi di carta ed eventi. Con questo articolo vogliamo portarvi a conoscere parte della sua produzione, sperando di coinvolgervi nella scoperta della sua arte trascinante.

 

L'artista, una signora anziana con i capelli grigi raccolti e gli occhiali, posa sorridente di fianco a una delle sue opere, un abito che sembra una cascata di strisce di carta.

Takako Saito (marzo 2019) alla sua mostra a CAPC Musée d’art contemporain de Bordeaux (8 marzo – 22 settembre 2019) © Takako Saito. ADAGP, Paris 2019 Foto: Arthur Péquin

 

Una giovane bisognosa di libertà

Nata nel 1929 nella prefettura di Fukui da una famiglia tradizionalista e opprimente, Takako cercò presto l’indipendenza. Frequentò l’università femminile per diventare insegnante ed entrò a far parte del collettivo artistico Sōzō Biiku Undō 創造美育運動 (Creative Art Education movement). Il movimento, fondato nel 1953 da Teijirō Kubo, aveva la missione di promuovere l’educazione creativa.

Tra workshop, eventi e la creazione di materiale educativo per insegnanti, Takako accresceva la sua conoscenza dell’arte ed entrava in contatto con persone interessanti. Tra i vari incontri, quello che lasciò maggiormente il segno fu quello avvenuto con Takao Iijima (1931). Noto con lo pseudonimo di Ay-O, l’artista è attivo nei movimenti più all’avanguardia in Giappone e a New York. I racconti della scena artistica americana e dell’aria di libertà che sembravano respirare le artiste oltreoceano attirarono Takako al punto da persuaderla a migrarvi nel 1963. Ay-O, inoltre, conosceva anche Yōko Ono, al tempo già coinvolta nell’ambiente creativo statunitense e importante mediatrice tra due universi culturali ancora piuttosto distanti.

New York e Fluxus

Poco dopo il suo arrivo a New York, anche grazie alle connessioni con i suoi connazionali, Takako Saito entrò a far parte di Fluxus. Si trattava di un gruppo internazionale di artisti che operavano in numerose discipline, e che aveva diversi punti di contatto con il Sōzō Biiku Undō. Alla sua guida c’era George Maciunas, artista sensibile e intelligente, ma allo stesso tempo irascibile, con il quale non era semplice collaborare. Takako non si fece però intimorire dalla sua reputazione e si adoperò spesso nella realizzazione di oggetti ed edizioni concepite da Maciunas. Durante la sua infanzia infatti Takako aveva accumulato esperienza nei lavori manuali: cuciva paracadute per lo sforzo bellico insieme alle sue compagne di scuola e passava le giornate a osservare carpentieri al lavoro. Grazie a queste competenze inusuali Takako disponeva di abilità inestimabili per un collettivo artistico che produceva da sé i propri oggetti.

 

Una gabbia che contiene piccoli tavolini disposti come banchi davanti a una lavagna in miniatura. Su ogni tavolino è dipinta una scacchiera. Sul lato della gabbia c'è scritto "Chess School for Mice"

“Scuola di scacchi per topi”, una delle invenzioni di Takako Saito. Foto di Bernard Blanc su Flickr

 

Fluxus organizzava anche cene comunitarie ed eventi di condivisione.  A questi incontri partecipavano, tra gli altri, anche giovani artiste giapponesi come Shigeko Kubota e Mieko Shiomi, trasferitesi negli Stati Uniti in cerca di emancipazione.

Il periodo in Fluxus formò Saito soprattutto nella costruzione di oggetti e opere d’arte di difficile fabbricazione. Le attività svolte in quegli anni rimasero per l’artista ispirazione e punto di partenza fondamentali per il resto della sua carriera.

L’ossessione per gli scacchi

Dopo le cene comunitarie di Fluxus, Maciunas rimaneva a giocare a scacchi con Takako per ore. La complessità concettuale di certi giochi da tavolo affascinò molti artisti, tra cui ad esempio Marcel Duchamp. Takako stessa ne fu persuasa, attratta anche dall’aspetto più giocoso e meccanico dei movimenti sulla superficie su cui ci si sfida. Dal 1964 in poi realizzerà una grande quantità di pedine fantasiose e futuristiche e scacchiere. La prima aveva il titolo di Nut and Bolt Chess (Scacchi di Dadi e Bulloni) e venne ricavata da un pannello di legno e oggetti da ferramenta.

Nel tempo Saito sperimentò non solo materiali bizzarri, ma anche diversi princìpi e logiche. In opere successive come Sound Chess, Weight Chess e Smell Chess, i pezzi differiscono tra loro non per l’aspetto, ma per la differenza di peso, odore o suoni emessi. In questo modo il giocatore è portato a impiegare nella partita tutti i sensi, non soltanto per la scelta della strategia vincente, ma anche nell’identificazione dei pedoni stessi. Attraverso un passatempo comune e conosciuto dai più, Saito ha incoraggiato un’esplorazione inedita del mondo e delle dinamiche relazionali con gli altri e con la realtà in toto.

 

Su una superficie piana e una parete a questa perpendicolare sono esposte diverse sculture dalle forme disparate. Qualcuna ha degli spuntoni, altre rametti.

Alcune delle scacchiere più elaborate e originali della produzione di Takako Saito. Foto di Bernard Blanc su Flickr

 

Cubi, creatività e partecipazione

A partire da questa esperienza Saito si è resa conto dell’efficacia delle opere interattive nel processo di scoperta personale della creatività da parte dei visitatori. Come aveva già teorizzato nel suo periodo nel Sōzō Biiku Undō, il gioco e la partecipazione attiva potevano stimolare i sensi e l’immaginazione. Usando la forma del cubo in diversi materiali e dimensioni l’artista ha dato vita alle composizioni e agli esperimenti più variegati. Small Box of Cubes (1965-66), per esempio, è una scatola piena di cubetti di legno che si possono impiegare come mattoncini da costruzione o come strumenti musicali. Rovesciandoli sul pavimento, infatti, i vari elementi possono rimbalzare e cozzare, producendo suoni imprevedibili. La stessa logica si applica a Music Bottle (1967), una bottiglia piena di cubi di carta che si può scuotere o rovesciare. L’opera è accompagnata dal messaggio “versare come dell’acqua” per invitare a trattare i cubi come componenti di una cascata musicale.

A partire dal 1968, scaduto il visto americano, Saito si trovò costretta a viaggiare per l’Europa trascorrendo brevi periodi in vari Paesi. Fu così che la prima performance largamente pubblicizzata di un’opera interattiva ebbe luogo non a New York, ma a Exter, in Inghilterra, nel 1971. Kicking Box Billiard era un gioco in cui i partecipanti dovevano saltare su una gamba sola e calciare cubi di carta per ottenere delle scatole come premio. La popolarità dell’opera ne valse la replica nella Grande Mela due anni dopo, durante una fiera di giochi creati dai membri di Fluxus. La partecipazione allargata all’atto creativo creava grazie a Saito comunità effimere ma significative e relazioni che altrimenti non si sarebbero instaurate.

Libri come performance

Tra i vari Paesi in cui l’artista ha trascorso un periodo creativo c’è anche l’Italia. Trasferitasi nel 1975 ad Asolo e in seguito a Reggio Emilia si specializzò nella rilegatura e pubblicazione di libri d’arte. Continuò anche a creare le sue performance partecipative, che in Italia avevano un certo successo, e di cui scriveva con soddisfazione anche a Maciunas. Gli raccontava anche che la flessibilità della sua occupazione le permetteva di dedicare del tempo alla realizzazione delle centinaia di cubi necessari alla sua arte. L’esperienza italiana le ha insegnato le potenzialità del libro come corpo e spazio, un luogo in cui la poesia si concretizza senza limiti.

I libri che ha creato non hanno pagine numerate, rilegature tradizionali, parole, trame o copertine. Si possono vedere come azioni materializzate, enti che danno forma alle scelte artistiche compiute durante la loro concezione o che istruiscono perché ne avvenga un’altra. Per questo si tratta di opere uniche, spesso solo apparentemente simili a un libro tradizionale. L’opera A book del 1994 è un esempio dell’unicità di queste edizioni. Due piccole assi di legno sono (ri)legate con dello spago. All’interno si trovano cinque pergamene della lunghezza del corpo dell’artista arrotolate a formare dei cilindri. Sulla copertina c’è un messaggio:

Leggile tutte con lo stesso tono. Leggile con toni diversi a seconda della misura del diametro…produci un suono come se piangessi…riempila come vuoi.

Istruzioni, queste, che guidano la creatività di quello che in questo modo diventa molto più di un semplice lettore.

 

Su una superficie piana sono disposti diverse scatole piatte che contengono fogli di carta e libri di varie dimensioni. Al centro ci sono due fogli di carta piegati a formare delle specie di rose.

Veduta della mostra di Takako Saito, CAPC Musée d’art contemporain de Bordeaux (8 marzo – 22 settembre 2019) © Takako Saito. ADAGP, Paris 2019 Foto : Arthur Péquin

L’arte comunicativa

A partire dal 1979 Takako Saito si è stabilita a Düsseldorf e ha iniziato a vendere le sue opere attraverso le pubblicazioni Noodle Editions. Questo le ha dato l’indipendenza e la tranquillità necessarie a sviluppare negli anni novanta quella che lei chiama “arte comunicativa”. L’opera You and Me Market è l’apice di questa ricerca e consiste in bancarelle portatili che mettono in mostra scarti organici (bucce, noci, ecc.) precedentemente essiccati. Le istruzioni lasciate da Saito recitano:

Questo è una sorta di pasto self-service. Prendi un contenitore e riempilo con quello che più ti piace prendendolo dalla bancarella. Poi scrivi il tuo nome sul contenitore. Io farò lo stesso.

I contenitori pieni di scarti diventano opere d’arte a sé stanti, create in collaborazione con il suo pubblico. Questo mette in crisi la proprietà e l’autorialità dell’oggetto d’arte, sfumando i confini immaginari tra “artista” e “persona comune”.

 

Lo scorcio di una bancarella con diversi oggetti esposti, in un contesto museale. Sulla tenda parasole che sormonta la bancarella c'è la scritta "Extra do it yourself shop you and me"

In primo piano: Takako Saito, You and me shop N°1, 1994. Veduta della mostra, Takako Saito, CAPC Musée d’art contemporain de Bordeaux (8 marzo – 22 settembre 2019) © Takako Saito. ADAGP, Paris 2019 Foto : Arthur Péquin

 

Takako Saito coltiva la sua arte partecipativa

In tempi più recenti Saito ha continuato a lavorare a eventi artistici che rendono partecipi i visitatori e integrano la loro esperienza con quella dell’artista. Opera del 2015 incorpora più aspetti della sua poetica, e viene descritta come opera d’arte totale. Takako indossa un “libro-vestito” costituito da tasche di stoffa cucite insieme con all’interno alcuni bigliettini appallottolati. L’artista cammina poi verso uno degli stanti e preleva un foglio dall’abito, lo svolge e recita le sillabe ivi scritte. A questo punto tocca alla persona scelta rispondere con i suoni che preferisce, un po’ come succede in una jam session. In questo modo i ruoli si confondono, così come in molte altre sue invenzioni, e tutti diventano musicisti, artisti, interpreti, ognuno nella propria personale maniera.

George Maciunas, affascinato dell’eleganza delle scatole giapponesi costruite senza chiodi, chiedeva spesso a Takako Saito di realizzarne per potervi custodire diverse edizioni Fluxus. Questo ha fatto della nostra artista uno dei più cruciali agenti del gruppo. Inoltre, la sua inventiva e la sua originale creatività hanno ispirato a lungo il collettivo, sia nel periodo newyorkese sia in quello europeo. Tuttavia, il suo apporto è stato a lungo minimizzato. La rivalutazione di Fluxus in tempi recenti ha portato gli studiosi a riscoprire anche la sua produzione, in modo particolare l’arte comunicativa e i libri. Mostre come quella di quest’anno a Basedonart a Düsseldorf, Resonances of DiStances, le garantiscono visibilità e nuova fama: speriamo anche che invitino il pubblico alla compartecipazione, proprio come lei vorrebbe.

 

Fonti

Into Performance, Japanese Women Artists in New York, Midori Yoshimoto (pagine 115-138)

Sito di Takako Saito

Aware Women Artists

Takako Saito – Dreams to Do 

Immagini cortesia di CAPC Musée d’art contemporain de Bordeaux

 

Revisione a cura di Silvia C.

Autore: <a href="https://hanabitemple.it/author/valentina-bianchi/" target="_self">Valentina Bianchi</a>

Autore: Valentina Bianchi

Ho avuto la fortuna di studiare nella bellissima Venezia, prima Cultura e Lingua del Giappone, poi Economia e Management delle Arti. Sono appassionata di arte giapponese e cerco sempre di scoprire nuovi artisti e di saperne di più su quelli che già conosco e amo. Vivo a Bruxelles, dove scrivo per siti web e riviste online e lavoro con organizzazioni locali e internazionali nel campo dell'arte contemporanea in connessione con la scienza e la sostenibilità.

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