Yōkai, i misteriosi mostri del Giappone

da | 3 Agosto 2021 | Articoli

Avete mai sentito parlare degli yōkai, i mostri del Giappone?

Sono entità che fanno parte del folklore, esattamente come altri esseri a noi più familiari. Pensate per esempio ai draghi, vampiri, lupi mannari o fantasmi: come vedete non dobbiamo andare tanto lontano per trovare qualche esempio calzante. Anzi, grazie alla letteratura o al cinema ormai possiamo facilmente immergerci nei racconti popolati da queste affascinanti e inquietanti figure.  E rispetto agli altri Paesi il Giappone non è certo da meno, vantando una schiera davvero folta di creature bizzarre.

La principessa Takiyasha evoca uno scheletro di dimensioni giganti

La principessa Takiyasha evoca uno scheletro di dimensioni giganti {Wikimedia Commons}

 

Prima di parlarvene, però, vi racconto una storia.

Nel Periodo Edo (1603 – 1868) a Higo, odierna provincia di Kumamoto, un ufficiale un giorno si trovò nei pressi di una spiaggia. Attratto da una luce che proveniva dal mare vi si avvicinò incuriosito, e lì venne approcciato da un essere assai curioso. Il corpo di pesce era coperto di squame e si divideva in tre gambe. Capelli lunghi scendevano fluenti sul corpo incorniciando il volto, su cui spiccava la bocca dalla forma di un becco di uccello. La creatura parlò, preannunciando un buon raccolto per sei anni, ma anche la venuta di un’epidemia. C’era un solo modo per scongiurarla: mostrare a tutti una sua immagine, come protezione da ogni malattia. Pronunciata la sua profezia, la bizzarra figura scomparve nuovamente in mare, lasciando dietro di sé un alone di mistero.

La creatura in questione è un amabie, una sirena giapponese che avrebbe il potere di fermare le epidemie. Ed è anche un chiaro esempio di quanto sia difficile inquadrare gli yōkai.
Sono mostri, spiriti o demoni? Sono buoni o cattivi? E perché vengono così spesso confusi con altri esseri del folklore giapponese?
Le domande sono tante, ma non preoccupatevi: oggi risponderemo a queste ed altre curiosità.

 

Yōkai: i mostri del Giappone, grotteschi e affascinanti

Tra tutti i vari fenomeni palpabili e impalpabili del cosmo, ve ne sono alcuni che superano la comune ratio: questi io chiamo “yōkai”.

Inoue Enryō

Il termine yōkai si compone di due kanji, dal significato piuttosto simile: 妖 e kai 怪. Il primo fa riferimento a qualcosa di “misterioso”, mentre il secondo ne indica l’aspetto “inquietante” e “affascinante” al tempo stesso. Parliamo quindi di “qualcosa” che va oltre la comprensione umana, ma che inevitabilmente ci attrae. Di difficile traduzione, la parola yōkai si usa spesso in riferimento a spiriti, fantasmi, demoni o, più in generale, ai mostri. Oggi viene utilizzata in modo generico a indicare diverse categorie di creature, a metà strada fra tradizione, spiritualità e immaginazione.

La “demonologia giapponese” o yōkaigaku 妖怪学 si occupa di studiare queste creature. Fondata dallo studioso di folklore Inoue Enryō, soprannominato “Dottor Mostro”, la disciplina nasce nel Periodo Meiji (1868-1912), epoca di modernizzazione per il Paese. In seguito è rifiorita poi in tempi più recenti, diffondendosi pian piano al di fuori del Giappone ed è giunta fino in Italia, dov’è diventata materia di ricerche universitarie. Infatti gli yōkai, i mostri del Giappone, non sono solo frutto di superstizione, ma sono anzi oggetto di studi antropologici, etnografici, religiosi, letterari.

Incarnazione delle paure e angosce che hanno investito la popolazione nel corso della storia, sono diventati parte integrante della cultura giapponese. Soprattutto in periodi di crisi, caos e incertezza assumono connotazioni differenti a seconda del contesto sociale e del periodo.

Il tanuki, il cane procione del folklore giapponese

Il tanuki, il cane procione del folklore giapponese {Tristan Ferne via Flickr}

 

L’evoluzione del soprannaturale

Possiamo dire che la storia di queste figure misteriose vada di pari passo con i numerosi tentativi fatti per dar loro una definizione nel corso dei secoli. Avventuriamoci dunque nelle varie epoche giapponesi, per cercare di capire come e perché la concezione di soprannaturale sia mutata fino ai giorni nostri.

 

Dalla preistoria ai primi testi

Fin dall’antichità l’immaginario collettivo giapponese pullulava di figure soprannaturali. Ce lo testimoniano le statuette di argilla, chiamate dogū, prodotte nel Paese durante l’epoca Jōmon (10.000 – 300 a.C.), dalle fattezze umanoidi ma con elementi magico-rituali. Inoltre anche i kami stessi, numi tutelari del Giappone, già in epoche remote venivano venerati come spiriti legati alle forze della natura.

Successivamente, i primi riferimenti scritti a creature non umane li troviamo nelle più antiche cronache del Giappone, il Kojiki (Un racconto di antichi eventi) e il Nihon Shoki (Annali del Giappone). Ma è solamente nello Shoku Nihongi (Annali successivi del Giappone), risalente al 797 d.C., che appare per la prima volta il termine yōkai, usato per descrivere un “mostro-spettro” che si aggira nella Corte imperiale.

In realtà però la parola è di origine cinese, e risale alla Dinastia Han del I secolo d.C. Il Giappone infatti strinse rapporti commerciali con il continente asiatico, e grazie all’incontro con la Cina ha assimilato molte sue leggende e tradizioni, accorpandole nel tempo alle proprie. Ciononostante, l’uso di questo vocabolo per indicare genericamente i mostri, così come lo conosciamo oggi, era ancora molto raro e venne sviluppato molto più tardi. Ma procediamo per gradi.

 

Spiriti malevoli e oggetti che acquistano vita

Facendo un piccolo salto in avanti e passando attraverso l’universo buddhista, colmo anch’esso di figure spesso violente e demoniache, ci inoltriamo nel Periodo Heian (794 – 1185). In quest’epoca appare la parola mononoke 物の怪 (“cosa misteriosa, inquietante”). Vi ricorda qualcosa? Ebbene sì, molti di voi conosceranno sicuramente il film d’animazione di Hayao Miyazaki, Mononoke hime (Principessa mononoke) del 1997! Il termine rappresenta l’idea che esistano entità in grado di possedere gli esseri umani per scopi malvagi. Mononoke indica infatti gli spiriti vendicativi (goryō 御霊), di defunti (onryō 怨霊) o di persone ancora vive (ikiryō 生霊), che provocano malattie, epidemie e catastrofi di ogni genere.

Il fenomeno della possessione ricorre spesso nella letteratura Heian: ne è esempio la vicenda di Rokujō raccontata nel Genji monogatari, romanzo dell’XI secolo. La dama, una delle tante amanti del protagonista Genji, travolta dalla gelosia si tramuta in uno spirito vivente in cerca di vendetta e attacca le sue rivali.

Più avanti, dal periodo Kamakura (1185-1333), le credenze sui mononoke passano in secondo piano per lasciare spazio alla diffusione di leggende sugli tsukumogami 付喪神, i “mostri artefatto”. Stando a una di esse, infatti:

Quando un oggetto raggiunge i cento anni, si trasforma, ottenendo uno spirito e ingannando i cuori degli umani.

Anche gli oggetti di tutti i giorni possono quindi trasformarsi in esseri animati e addirittura radunarsi in uno scenografico corteo, per sfilare per le vie delle città in certi notti prestabilite.

 

Mostri che si trasformano e storie di paura

In epoca Edo fiorisce un nuovo tipo di sensibilità che porta alla nascita di una cultura più libera. È il periodo dei quartieri di piacere, del teatro kabuki, delle stampe ukiyo-e e dell’interesse in discipline come scienza, astronomia e medicina. Paradossalmente, nasce però anche un certo gusto per il macabro e per le storie di paura.

I kikei 奇形, le “malformazioni”, vengono messi in scena da spettacoli crudi e grotteschi, secondo le nuove esigenze di intrattenimento. E nei racconti del terrore, le “cose che si trasformano” ora non sono più oggetti tsukumogami, ma creature viventi. Si tratta dei bakemono 化け物 od obake お化, mostri che possiedono la capacità di assumere forme differenti.

A quei tempi poi era popolare il passatempo noto come Hyakumonogatari kaidankai (Riunione dei cento racconti di paura). Ci si ritrovava di notte per raccontarsi storie di fantasmi (kaidan 怪談) alla luce di cento candele, e al termine di ogni racconto ne veniva spenta una. Secondo la credenza, allo spegnersi dell’ultima candela, col calare del buio nel luogo di ritrovo, sarebbe comparsa una creatura soprannaturale.

Tra gli yōkai, i mostri del Giappone, ci sono gli yūrei, i fantasmi del folklore giapponese

Uno yūrei, un fantasma del folklore giapponese {Utagawa Toyokuni I via MetMuseum}

Il ritorno degli yōkai

Il significato di yōkai come lo conosciamo oggi è relativamente recente: risale al periodo Meiji (1868-1912), e si deve al già citato Inoue Enryō. La parola grazie a lui assume maggiore flessibilità, e viene utilizzata per descrivere diversi tipi di fenomeni apparentemente inspiegabili.

Inoltre, nel Giappone contemporaneo, ha iniziato a diffondersi anche il suo sinonimo ayakashi アヤカシ, grazie soprattutto ad anime e manga. È il nome dato alle apparizioni sulla superficie dell’acqua di un mare o di un lago, o in prossimità di qualche località particolare. Si tratta di una caratteristica importante, perché in generale gli yōkai, i mostri del Giappone, non appaiono mai in luoghi casuali: si manifestano sui luoghi di confine, ovvero in quei posti “dove una cosa diventa qualcos’altro”.

 

Categorie di yōkai

Come abbiamo visto, l’inventario delle creature mostruose è piuttosto vasto e suddiviso in parecchie categorie facilmente confondibili tra loro. Queste distinzioni non sono però ben definite e anzi si è a lungo discusso circa le differenze tra le varie entità. Ancora oggi è spesso difficile avere un’idea chiara di quello di cui si sta parlando. Ad esempio, la parola bakemono talvolta viene sostituita con yūrei e mi è capitato di notare un po’ di confusione anche con i terribili oni. Tutti e 3 questi vocaboli si riferiscono a “classi” di yōkai, ma ognuno di essi ha delle caratteristiche specifiche. Vediamole insieme.

 

Mutaforma

Al gruppo dei mutaforma appartengono i bakemono, creature zoomorfe che mutano in affascinanti esseri umani. Ne è un esempio la kitsune 狐: la volpe vendicativa dai poteri magici che, per attirare le sue vittime, si trasforma in una bellissima donna. O ancora il tanuki 狸, il cane procione che, come la volpe, cambia aspetto per ingannare gli uomini.

Anche gli yūrei 幽霊 (“spirito, spettro”) però sono in grado di cambiare forma, eppure rientrano nella categoria dei fantasmi. Qual è la differenza? Ebbene, ciò che li contraddistingue dai bakemono è l’intenzione: sono esseri fortemente legati alle sofferenze che hanno patito in vita, che usano le proprie capacità per vendicarsi di chi in passato ha fatto loro del male.

Queste similitudini hanno portato spesso a sovrapporre o confondere tra loro alcune creature, la cui vera natura non è proprio chiara. Pensiamo per esempio ai Suppon no Yūrei: sono fantasmi di tartarughe marine che appaiono agli uomini che le avevano cacciate e mangiate. Hanno la capacità di assumere le sembianze di monaci giganti o di entrare nei corpi dei carnefici, in modo da farli assomigliare a delle tartarughe. Come dovremmo considerarle? Spettri o creature polimorfe? Arduo a dirsi.

 

Fantasmi

Gli yūrei, dicevamo, sono ciò che più si avvicina alla nostra concezione di “fantasma”: si tratta di spiriti di defunti incapaci di raggiungere l’aldilà. Secondo le superstizioni giapponesi, ognuno di noi ha un’anima o spirito (reikon 霊魂) che, nel momento della morte, si stacca dal corpo e continua a vivere, intraprendendo il suo viaggio verso l’oltretomba. Questo passaggio viene solitamente propiziato con cerimonie e preghiere, al fine di garantire la giusta transizione fra i due mondi. Se però questi riti non vengono compiuti nel giusto modo, lo spirito non potrà lasciare la terra dei vivi. Oppure, se una persona ha subìto una morte violenta o è stata influenzata da sentimenti negativi prima di morire, come rancore, rabbia o gelosia, il suo spirito continuerà a vagare inquieto finché non gli sarà dato riposo.

Secondo l’iconografia moderna questi fantasmi sono perlopiù femminili, con lunghi capelli neri scarmigliati, una veste bianca che ne nasconde i piedi e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Spesso sono accompagnati da due fuochi fatui, gli hitodama, associati proprio alle anime dei defunti. Un esempio più che mainstream è la spaventosa Samara di The Ring, remake americano del film giapponese Ringu リング.

 

Orchi

Del tutto contrapposti agli yūrei sono invece gli oni 鬼, “orchi/ demoni”. Queste figure si presentano come grosse creature dalla pelle rossa o azzurra, solitamente con corna, zanne e una chioma arruffata. Nascono alla morte di un uomo malvagio e popolano gli inferni buddhisti, perseguitando e torturando i dannati nei modi più atroci. Da sempre protagonisti di leggende, inizialmente il termine faceva riferimento sia a fantasmi, sia a mostri in generale. In Cina l’ideogramma 鬼 rimanda infatti a qualcosa di “nascosto, celato, occulto”. Via via, con le varie classificazioni compiute durante i secoli, si è arrivati a una categorizzazione più precisa e questi esseri hanno assunto connotati più definiti. Inoltre è nata anche la figura di un’orchessa, Kijō.

Tra gli yōkai, i mostri del Giappone, ci sono anche gli oni, una specie di orchi del folklore giapponese

Un oni (in blu), l’orco del folklore giapponese {Wikimedia Commons}

 

La parata notturna dei cento demoni

C’è un antico racconto giapponese, lo Hyakki yagyō 百鬼夜行 (Parata notturna dei cento demoni), secondo cui è estremamente pericoloso uscire di casa durante alcune notti precise. Yōkai, oni, yūrei, tsukumogami e altre creature soprannaturali escono infatti dai loro nascondigli, assembrandosi in una sorta di oscuro corteo. E coloro che si vi si imbattono o che cercano di dare anche solo una sbirciatina, andranno incontro a morte certa o spariranno nel nulla. L’unico modo per salvarsi è restare chiusi in casa o recitare una certa formula magica. Curiosamente, la formula ha la stessa metrica del waka, la forma poetica per eccellenza del periodo Heian, scandita secondo i versi 5-7-5-7-7.

Riportata nel libro di Matthew Meyer Yōkai. Sfilata notturna dei 100 demoni recita così:

カタシハヤ / エカセニクリニ / タメルサケ / テエヒ / アシエヒ / ワレシコニケリ

Katashi haya / ekase nikurini / tameru sake /
teehi ashiehi / wareshiko nikeri

È stata dura / ché all’ora di partire / il sake del bonzo /
ho trincato fino a svenire / e son partito sbronzo

Questa credenza è stata rappresentata più volte nell’arte. L’esempio più antico è lo Hyakki yagyō emaki, un rotolo illustrato del periodo Heian, oggi conservato al tempio Daitokuji di Kyōto. L’opera si estende da destra a sinistra, rappresentando novantanove figure, tra le più disparate, che sembrano marciare direttamente sulla carta. In quest’epoca dunque è nata una vera e propria forma d’arte che ha come unici protagonisti gli yōkai, i mostri del Giappone.

Anche Katsushika Hokusai (1760-1849), universalmente conosciuto per la sua Grande Onda di Kanagawa, ha realizzato le stampe Hyaku monogatari 百物語 (Le cento storie di fantasmi, 1830 ca.), ritraendo in modo magistrale e terrificante al tempo stesso demoni sorridenti e fantasmi spaventosi. E un altro artista che vi ha preso spunto è Toriyama Sekien (1712-1788): i titoli delle sue opere rimandano infatti al nome di questa parata infernale. Voglio parlarvi di lui più nel dettaglio.

 

Enciclopedie dei mostri del Giappone

Toriyama Sekien è vissuto durante l’epoca Edo, che come vi accennavo ha visto lo sviluppo di alcune discipline scientifiche. Proprio a supporto di questi studi, in quegli anni è nata anche la necessità di catalogare, descrivere e raggruppare quante più informazioni utili a comprendere il mondo.

Unendo l’intento enciclopedico con quello ludico questo pittore e poeta della Scuola Kanō, ha dato vita a una vera e propria enciclopedia dei mostri. La sua prima serie illustrata, dedicata interamente agli yōkai, prende il nome di Gazu hyakkiyagyō (Illustrazioni della parata notturna dei cento demoni). È una tetralogia pubblicata nel 1776, che cataloga e illustra tutti gli yōkai più conosciuti. Incoraggiato dal successo della prima opera, Sekien ha poi deciso di sviluppare il suo lavoro, arricchendolo con altri tre cataloghi:

  • Konjaku Gazu Zoku Hyakki (I cento demoni illustrati del presente e del passato);
  • Konjaku Hyakki Shūi (Supplemento ai cento demoni illustrati del presente e del passato);
  • Gazu Hyakki Tsurezure Bukuro (La borsa illustrata dei cento demoni casuali).

I quattro bestiari mitologici, insieme, documentano più di 200 creature soprannaturali. La maggior parte degli yōkai illustrati derivano dal folklore e dalla letteratura giapponese e cinese, mentre molti altri sono frutto della sua straordinaria immaginazione. Le sue opere hanno rivoluzionato la concezione del “mondo invisibile”: se prima i mostri avevano solo connotati spaventosi, ora grazie a lui hanno anche tratti buffi e burleschi. Il pittore ha così unito il comico al misterioso, non solo rielaborando figure già esistenti, ma creandone anche di nuove ancora più stravaganti. E non si è limitato a rappresentarle graficamente: nelle sue ultime opere in particolare, i disegni sono accompagnati da descrizioni sulla loro storia.

Sekien ha dunque dato il via a una vera e propria “cultura” degli yōkai, che è stata fonte di ispirazione per gli artisti venuti dopo di lui.

Un rotolo rappresenta "La parata notturna dei cento demoni"

Hyakki Yakō, “La parata notturna dei cento demoni” {Wikimedia Commons}

Gli yōkai come incarnazione di cambiamenti socio-culturali

Questi mostri del Giappone, dunque, non sono solo oscuri, deformi e malvagi. Alcuni di essi sono gentili e innocui, portano fortuna e benessere, altri ancora sono addirittura kawaii! Quello che però li accomuna, è il fatto di essere l’emblema di tutte le ansie e i cambiamenti socio-culturali che hanno caratterizzato la storia del Giappone fino a oggi. Anche negli ultimi anni continuano a circolare numerose leggende metropolitane sul web, a partire da quella di Teke-teke テケテケ.

Nelle vesti di una ragazza senza la parte inferiore del corpo, rincorre le sue vittime trascinandosi con le braccia a una velocità spaventosa. E il suo nome deriva dal suono che produce durante la corsa. In una versione differente si racconta che la ragazza, vittima di un abuso da parte di un uomo, si è lanciata sui binari per il dolore. Tagliata a metà dall’arrivo di un treno, è rimasta poi sulla Terra in cerca di vendetta.

 

Yōkai, i mostri del Giappone oggi

Possiamo quindi dire che quello degli yōkai non è un fenomeno statico, ma è anzi in continua evoluzione. Molti artisti del passato li hanno ritratti e reinterpretati e con la diffusione di manga, anime, videogiochi, film e altre arti visive, oggigiorno ne sono nate anche nuove versioni, moderne e originali.

Primo tra tutti, Godzilla (Gojira), il temibile mostro marino creato per incarnare il disastro della bomba atomica. Sulla scia del suo successo, sono nate moltissime altre icone pop, da quelle apparse nei film animati di Hayao Miyazaki fino alle creature tascabili dei Pokémon.

Uno dei maestri che più di tutti ha lasciato il segno nel panorama del folklore autoctono moderno è sicuramente Shigeru Mizuki. Storico e fumettista, è il padre di Hakaba no Kitarō (Kitarō dei cimiteri, 1960). Dal fumetto è stato tratto poi un anime meglio conosciuto come GeGeGe no Kitarō. La storia ruota attorno a una serie di simpatici personaggi, tutti riconducibili a creature della tradizione. La popolarità del suo lavoro ha contribuito in modo significativo a riaccendere l’interesse verso le leggende loro legate, tanto da scatenare un vero e proprio boom.

E il suo studio, il Mizuki Production, nel marzo 2020 ha riportato in auge proprio la leggenda che vi abbiamo raccontato in apertura di questo articolo, sulla sirena amabie. Come? Twittando un’illustrazione di questa creatura e spronando le persone di tutto il mondo a condividere a loro volta un’immagine o un oggetto che vi si ispirasse. Un messaggio di speranza in un momento difficile come quello che stiamo ancora vivendo.

Tra i manga più recenti, due esempi interessanti sono Nurarihyon no Mago, in cui appaiono moltissimi yōkai diversi, insieme alla famosa parata notturna di cui vi abbiamo parlato prima. E Natsume Yūjinchō, in cui il protagonista ha il potere di vedere gli spiriti del folklore giapponese. Così, i nuovi yōkai sono ormai diventati parte integrante della cosiddetta “J culture” e dell’identità nazionale stessa.

Antichi o moderni, buoni o malvagi, gli yōkai, i mostri del Giappone, ne hanno sempre rappresentato l’insieme delle paure più intime e oscure. Tutt’oggi i giapponesi credono in queste creature: vi si affidano per la buona sorte o ne prendono le distanze per evitare sciagure. Come dice Shigeru Mizuki:

Bisogna avere una certa sensibilità per il mondo invisibile, una sorta di “sensibilità agli yōkai”, per essere in grado di percepirli e di vederli.

E voi credete agli yōkai?

 

Fonti

 

Revisione a cura di Silvia C.

Autore: <a href="https://hanabitemple.it/author/valentina-padovan/" target="_self">Valentina (Shiinya)</a>

Autore: Valentina (Shiinya)

Valentina, 27 anni, studentessa di lingue orientali. Sono completamente affascinata dal Giappone, dalle culture straniere e da tutto ciò che è diverso dall'ordinario. Nel tempo libero mangio libri, divoro film e scrivo articoli per Hanabi Temple con l'intento di far conoscere il paese del Sol Levante in tutte le sue più curiose sfaccettature.

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