Aspettando “Il gioco di Chihaya”

da | 27 Ottobre 2022 | Articoli, letteratura, poesia giapponese

Lo scorso aprile, al Napoli Comicon 2022, la casa editrice GOEN (RW Edizioni) ha annunciato di aver acquisito i diritti per l’Italia di Chihayafuru, che arriverà da noi col titolo Il gioco di Chihaya.

Disegnato da Yuki Suetsugu e pubblicato da Kōdansha, è in corso addirittura dal 2007 e si concluderà a breve in Giappone col volume numero 50. Lo studio Madhouse ne ha anche prodotto 3 stagioni animate, per un totale di 74 episodi; le prime 2 sono inedite, la terza è disponibile con sottotitoli in italiano su Crunchyroll.

Confesso di essere una grande fan di quest’opera, i cui ingredienti principali sono amicizia, passione, sport e amore. Potrebbe sembrare un mix già visto e rivisto in tantissimi altri manga, e in fondo avreste anche ragione. La particolarità che lo distingue dagli altri però è il tipo di sport, o meglio disciplina, su cui è basato, davvero unico nel suo genere. E la ciliegina sulla torta è la presenza nelle sue pagine perfino della poesia giapponese. Ha ricevuto anche dei riconoscimenti prestigiosi: il Premio Manga Taishō nel 2009 e il Premio Kōdansha nel 2011.

Ayase Chihaya dalla prima stagione dell'anime Chihayafuru

Chihaya Ayase, la protagonista. Dalla prima stagione dell’anime Chihayafuru. © Yuki Suetsugu, Studio Madhouse.

 

Da tempo mi auguravo che qualche editore italiano ne acquistasse i diritti e ormai avevo quasi perso le speranze. Ma per fortuna una casa editrice disposta a credere in quest’opera c’è, e non vedo l’ora di stringere il primo volume tra le mani!

GOEN (RW Edizioni) ancora non ha rivelato la data esatta di pubblicazione perciò, per ingannare l’attesa, ne voglio parlare un po’. E voglio farlo concentrandomi sullo stretto legame dell’opera con i versi nipponici.

Ma prima, diamo un po’ di contesto!

 

Trovare il proprio sogno

Chihaya, Taichi e Arata da bambini si sono incontrati, scontrati e sono diventati amici grazie al karuta, un gioco tradizionale che ha radici molto antiche. Chihaya in particolare prima di conoscerlo non aveva aspirazioni: viveva soltanto per sostenere la sorella maggiore, modella emergente, e si accontentava di godere della luce riflessa dei suoi successi. Ma ora ha trovato finalmente un sogno tutto suo: diventare Queen, ovvero la giocatrice di karuta più forte in assoluto. Alla fine delle elementari però le strade dei tre amici si separano e la promessa di giocare sempre insieme si infrange. Arata si trasferisce, Taichi entra in una scuola prestigiosa ma lontana e Chihaya prosegue da sola alla scuola pubblica.

Chihaya, Taichi e Arata bambini, dalla prima stagione dell'anime Chihayafuru

Chihaya, Taichi e Arata bambini, dalla prima stagione dell’anime Chihayafuru – © Yuki Suetsugu, Studio Madhouse.

 

Anni dopo la ritroviamo alle superiori, cresciuta e sbocciata in una ragazza molto bella. È intenzionata ad aprire un club scolastico di karuta, reclutare compagni e partecipare con loro al famoso torneo che si tiene ogni anno allo Ōmi Jingū, un importante santuario situato nella prefettura di Shiga. Inaspettatamente rincontra Taichi e lo coinvolge nel suo progetto, ma la strada per la vetta e il titolo di Queen è impervia e difficile. Riuscirà il terzetto a ricomporsi recuperando anche Arata? E Chihaya realizzerà mai il suo sogno?

 

Carte e poesia

Passando a parlare della disciplina al centro del manga Il gioco di Chihaya, il suo nome per esteso è utagaruta. È una parola composta da uta 歌, cioè “canzone, poesia” e karuta カルタ, dal portoghese “carta”, il cui significato è analogo all’identico vocabolo italiano. Lo potremmo tradurre come “carte poetiche”. Di solito però è chiamato semplicemente karuta.

Nacque durante il 16° secolo, quando i portoghesi arrivarono in Giappone e portarono nel Paese la conoscenza delle carte da gioco. In antichità infatti esistevano svaghi simili, praticati dai nobili della Corte Imperiale, ma prevedevano l’utilizzo di conchiglie dipinte. La sua popolarità crebbe enormemente durante il periodo Edo (1600-1868), come mostrano anche le molte stampe ukiyoe dell’epoca.

Nel 19° secolo ci fu una sua riscoperta e vide la luce anche la variante competitiva, chiamata kyōgi karuta 競技かるた. Una vera e propria disciplina con club specializzati in cui i giocatori si allenano, tornei e competizioni a vari livelli e una graduatoria suddivisa in classi, come nelle arti marziali. Inoltre a chi si dimostra il migliore in assoluto spetta un titolo esclusivo: Meijin 名人 (“persona illustre”, traducibile come “maestro” o “campione”) per i maschi e Queen クイーン per le femmine.

Ukiyoe di Yōshū Chikanobu, ragazze che giocano a karuta, 1895

Ukiyoe di Yōshū Chikanobu, dall’album “Castello di Chiyoda”, con ragazze che giocano a karuta, 1895.

 

Il karuta si gioca in due, uno di fronte all’altro su un tatami, con una terza persona che svolge la funzione di “lettrice”. Gli strumenti a disposizione sono:

  • 100 torifuda 取り札, ossia “carte da prendere”. Ogni carta riporta solamente il verso inferiore (detto shimo no ku 下の句) di una poesia waka proveniente da una famosa antologia privata;
  • 100 yomifuda 読み札, le “carte da leggere”. Ognuna di esse riporta una poesia per intero.

I giocatori dispongono davanti a sé 25 torifuda, scartando le restanti, e poi ha inizio la sfida!

Il lettore prende una yomifuda e la declama partendo dal verso superiore (kami no ku 上の句). I duellanti, nel mentre, devono riconoscere il componimento e prendere la carta che lo completa prima che lo faccia l’avversario. Ovviamente, vince chi alla fine riesce a totalizzare più carte.

Una vera e propria gara di concentrazione e velocità!

 

Un poeta geniale

Da appassionata di poesia giapponese quale sono, non posso non menzionare l’uomo cui viene generalmente attribuita la scelta dei poemi su cui si basa il karuta!
Si tratta di Fujiwara no Teika 藤原定家 (1162-1241), aristocratico e letterato appartenente a un ramo del nobile casato Fujiwara. Suo padre era Shunzei, un poeta di spicco nel panorama culturale di quegli anni, che nel 1187 compilò la raccolta imperiale Senzai Waka Shū (“Raccolta di poesie giapponesi di mille anni”). Come esponente di una prestigiosa famiglia di letterati, Teika ebbe un’educazione rigorosa, si dice però che di carattere fosse difficile, irascibile e ostinato.

Durante la giovinezza non riuscì a emergere perché la sua fazione politica era in declino, ma nel 1200 ebbe l’occasione di farsi notare durante una competizione poetica patrocinata dell’Imperatore in ritiro Go Toba. La sua prova fu così eccellente che l’ex sovrano gli accordò la sua protezione e lo ammise alla propria corte personale nonostante ricoprisse un basso rango. La sua carriera ebbe uno slancio e col suo talento finalmente riconosciuto e comprovato, fu il primo poeta a cui venne chiesto di compilare non una ma ben due antologie imperiali, lo Shin Kokin Waka Shū (“Nuova raccolta di poesie giapponesi antiche e attuali”) nel 1205 e lo Shin Chokusen Waka Shū (“Nuova raccolta imperiale di poesie giapponesi”) nel 1234.

 

Ukiyoe di Yashima Gakutei che ritrae Fujiwara no Teika, 1830, Harvard Art Museum

Ukiyoe di Yashima Gakutei che ritrae Fujiwara no Teika, 1830 (Harvard Art Museums).

 

Oltre che poeta, Teika fu anche critico e filologo, e lasciò numerosi scritti teorici sulla poesia e copie manoscritte di opere letterarie. La sua levatura e i suoi contributi hanno influenzato gli sviluppi successivi dell’arte poetica per secoli. E fin dall’epoca Kamakura (1185-1333) il suo nome è annoverato tra i Sanjūrokkasen 三十六歌仙, i Trentasei Geni Poetici della tradizione. Anche una delle mie poesie giapponesi preferite in assoluto è stata scritta da lui. Ma ve ne parlerò meglio in un’altra occasione.

 

Poesie per paraventi

La raccolta che è diventata poi la base del karuta che appare ne Il gioco di Chihaya si intitola Ogura Hyakunin Isshu 小倉百人一首. Questo nome si può tradurre come “A Ogura, cento poeti, una poesia ciascuno”, e ciò spiega perché si gioca usando un mazzo di 100 carte.

Se siete curiosi di leggerla, l’unica versione attualmente disponibile in italiano è stata curata nel 1950 da Marcello Muccioli, e recentemente ripubblicata dal 2010 dalla casa editrice SE, col titolo La centuria poetica.

Sfortunatamente, presenta solo le traduzioni delle poesie, senza il testo originale o la trascrizione fonetica, cosa che rende impossibile per gli amanti del giapponese apprezzare la musicalità e il ritmo dei versi nipponici, o cogliere le figure retoriche. Perlomeno sono presenti alcune brevi note biografiche sui singoli autori dei componimenti e una postfazione del curatore. Esiste anche una versione più datata, del 1923, dal titolo Cento Poeti Cento Canti, con le traduzioni di B. Balbi, ma è praticamente introvabile.

Le circostanze che hanno portato alla redazione dell’antologia sono piuttosto curiose. Le racconta Teika stesso nel suo diario, il Meigetsuki 明月記 (“Cronache della luna piena”). Nel 1235, quando ormai si era ritirato dal mondo e aveva preso i voti, il suocero di suo figlio Tameie gli chiese di scrivere alcune poesie destinate a decorare i paraventi della sua residenza sul monte Ogura.

Io non sapevo scrivere [bene] i caratteri cinesi, ma quel nyūdo* chiese con tanta insistenza che fossi proprio io a scrivergli [le poesie] su fogli di carta colorata da apporre sulle pareti di Saga Chūin (nome della dimora sul monte Ogura) che, sebbene [la mia calligrafia] fosse estremamente brutta a vedersi, io diedi di piglio al pennello e gliele mandai. Erano poesie ognuna di un autore diverso, dai più antichi a quelli attuali, dall’Imperatore Tenchi fino a Ietaka e al ministro Masatsune.

(Citazione tratta dalla postfazione di Muccioli ne “La centuria poetica”, SE, pagg. 118-119).

*monaco laico, ossia chi ha preso i voti ma continua a mantenere una vita secolare (nda).

 

Stampa ispirata allo Ogura Hyakunin Isshū di Utagawa Hiroshige

Stampa ispirata allo Ogura Hyakunin Isshu di Utagawa Hiroshige.

 

Una genesi dibattuta

Gli studiosi ad oggi non sono concordi sul fatto che la scelta delle poesie sia stata fatta da Teika stesso: secondo alcuni è stato invece il suo committente a selezionarle e a dare a lui semplicemente l’incarico di tracciarle sui fogli decorativi. Anche il diario menziona solamente il fatto che lui le abbia scritte, senza dire chi le abbia decise.

Altre correnti di pensiero sostengono inoltre che, chiunque sia stato a eseguire la selezione, non abbia optato per le poesie obiettivamente migliori di ciascuno dei poeti rappresentati nella raccolta, ma per quelle più stilisticamente elaborate.

Non c’è neppure certezza che le poesie che oggi conosciamo siano quelle che vennero effettivamente utilizzate, dato che è stata scoperta l’esistenza di un’altra raccolta con caratteristiche molto simili. Dal titolo Hyakunin Shūka 百人秀歌 (“Poesie eccellenti di cento poeti”), si compone di 101 poesie, alcune delle quali però sono diverse.

Inoltre, alcune cariche politiche e nomi dei poeti menzionati da Teika nella sua opera sono stati loro attribuiti soltanto dopo la morte di Teika stesso. Come avrebbe potuto, quindi, conoscerli all’epoca della compilazione dell’antologia?

Molti esperti ritengono quindi che lo Hyakunin Shūka rappresenti la prima versione dell’opera, priva dei contributi degli Imperatori Go Toba e Juntoku per ragioni probabilmente politiche. E alcuni pensano che, per quanto riguarda i nomi, Tameie alla morte del padre abbia apportato delle correzioni successive allo Ogura Hyakunin Isshu cambiando gli appellativi di suddetti poeti.

Al di là di questi dibattiti che sono al centro di studi specialistici, la collezione di Ogura possiede molti aspetti interessanti. Ve ne voglio illustrare alcuni, insieme ad alcuni componimenti che ho avuto il piacere di tradurre e curare personalmente.

 

Poesie già note ma in un ordine nuovo

Una cosa importante da dire, è che tutti i componimenti nello Ogura Hyakunin Isshu sono già apparsi in altri testi commissionati da Imperatori, quindi non ci sono versi inediti. Uno di questi è il Kokin Waka Shū (“Raccolta di poesie giapponesi antiche e attuali”), compilato da Ki no Tsurayuki e terminato presumibilmente dopo il 905. È famoso soprattutto per la sua prefazione in lingua giapponese, il Kanajo, che costituisce il primo esempio di critica letteraria, e la sua importanza è stata tale da diventare il modello per tutte le raccolte successive. Da qui Teika avrebbe prelevato ben 24 poesie, mentre le altre provengono da altre 10 collezioni.

Ritratto di Ki no Tsurayuki

Ki no Tsurayuki ritratto dal pittore giapponese Kikuchi Yosai (Met Museum).

 

A differenza però delle raccolte imperiali, che organizzano i contributi sulla base di macro categorie (le stagioni, le poesie amorose, le elegie, le miscellanee, ecc.), qui l’unico criterio di ordinazione è quello cronologico. E le poesie presenti coprono un lasso di tempo davvero esteso: la prima, dell’Imperatore Tenchi, risale al 7° secolo; l’ultima, dell’Imperatore Juntoku, all’epoca contemporanea di Teika (13° secolo). Il che fa dello Ogura Hyakunin Isshu quasi una sorta di viaggio temporale, che condensa le evoluzioni stilistiche della poesia giapponese nell’arco di quasi 600 anni.

 

Immagini e colori

Leggendo le poesie si nota facilmente che molte hanno una forte componente paesaggistica e nominano località e paesaggi famosi. Tra le più suggestive c’è questa, la n. 64, di Fujiwara no Sadayori:

朝ぼらけ
宇治の川ぎり
絶え絶えに
あらはれわたる
瀬々の網代木
Asaborake
uji no kawagiri
taedae ni
araware wataru
zeze no ajirogi
Sul far dell’alba
la foschia sul fiume Uji
va disperdendosi
e qua e là appaiono
i pali delle reti da pesca sulle sue rapide

 

Pensando al fatto che lo scopo dei componimenti, come detto, era decorare dei paraventi, probabilmente un pittore li avrebbe accompagnati con dei disegni. Di certo quindi è stata una scelta deliberata, optare per versi così descrittivi, che ben si prestano a essere dipinti.

Un’altra particolarità è di tipo cromatico: sono davvero numerose infatti le poesie in cui domina un colore specifico, e in special modo il bianco. Il loro numero è tale che si potrebbe affermare che fosse il preferito di Teika! Eccone un esempio, la poesia n. 29, di Ōshikōchi no Mitsune.

心あてに
折らばや折らむ
初霜の
おきまどはせる
白菊の花
Kokoro ate ni
orabaya oran
hatsushimo no
oki madowaseru
shiragiku no hana
È usando solo l’intuito
che se volessi farlo, potrei coglierlo;
dalla prima brina ricoperto
è indistinguibile
il fiore di crisantemo bianco

 

Appaiono comunque anche altri colori, nominati direttamente o solo evocati. Tra di essi, il rosso delle foglie degli aceri; il verde dei pini e dei bambù; il nero inchiostro della veste dei monaci o dei capelli; i toni del mare, delle cascate e dei fiumi; le sfumature dei ciliegi, dei campi di erbe, dell’alba e del tramonto. Sono così vividi che basta chiudere gli occhi per immaginare le scene che rappresentano.

 

Amori tormentati, luna e malinconia autunnale

La stagione nominata maggiormente è l’autunno, con ben 15 poesie. L’atmosfera dimessa e contemplativa di questo periodo dell’anno permea di sottile tristezza i versi e commuove facilmente. Un’ipotesi sulla sua così spiccata presenza è che rifletta il momento storico di declino del potere della Corte Imperiale all’epoca di Teika. A dominare in quegli anni infatti era ormai la classe guerriera. Eccovi una poesia sul tema, la n. 71, di Minamoto no Tsunenobu.

夕されば
門田の稲葉
おとづれて
あしのまろやに
秋風ぞふく
Yū sareba
kadota no inaba
otozurete
ashi no maroya ni
akikaze zo fuku
Quando scende la sera
dai campi di riso presso il mio portone
annuncia il suo arrivo:
nella mia umile capanna di giunchi
soffia il vento d’autunno.

 

Seguono primavera e inverno, con 6 poesie ciascuna, e 4 per l’estate.

Tra i soggetti più gettonati dalla poesia giapponese c’è anche la luna, nelle sue varie fasi e apparizioni nel cielo. L’astro notturno, con la sua luce eterea accende suggestioni, è protagonista di numerose leggende e le poesie dove diventa interlocutore del poeta non si contano. Anche nello Ogura Hyakunin Isshu ci sono la bellezza di 12 componimenti dedicati al nostro satellite, a ulteriore riprova di quanto sia amato. Come questo, il n. 36 di Kiyohara no Fukayabu:

夏の夜は
まだ宵ながら
明けぬるを
雲のいづくに
月やどるらむ
Natsu no yo wa
mada yoinagara
akenuru o
kumo no izuku ni
tsuki yadoran
In questa notte estiva
mentre ancora è sera presto
l’alba già si approssima;
dove, tra le nubi
avrà trovato alloggio la luna?

 

Paravento giapponese con poesie autunnali

Paravento giapponese con acero in autunno e poesie di Tosa Mitsuoki (Art Institute Chicago).

 

Il tema che però predomina su tutti è quello amoroso, presente addirittura in 46 componimenti. Questo sentimento, soprattutto nei suoi aspetti più dolorosi, con le sue pene, gli struggimenti, gli incontri fugaci e le separazioni, che più delle relazioni a lieto fine commuove ed emoziona, è uno dei più cantati nella poesia giapponese.

Il motivo è semplice: nella Corte Imperiale le poesie venivano normalmente utilizzate come mezzo di comunicazione privato tra uomo e donna, sia prima che dopo un incontro romantico. Erano un modo per saggiare la cultura e la sensibilità dell’altro/a. E la capacità di comporre versi appropriati per ogni occasione era anche uno dei metri di valutazione dei potenziali partner.

Lo si può vedere nei grandi capolavori letterari dell’epoca Heian, come il Genji Monogatari, che da Teika tra l’altro era tenuto in grande considerazione. Perciò che l’amore sia così enfatizzato anche nello Ogura Hyakunin Isshu non deve stupire. Tra tutte le poesie che lo celebrano, questa è forse la più commovente, la n. 56 di Izumi Shikibu:

あらざらむ
この世の外の
思ひ出に
今ひとたびの
逢ふこともがな
Arazaran
kono yo no hoka no
omoide ni
ima hitotabi no
au koto mogana
Svanirà presto la mia vita
e come ricordo di questo mondo
per l’aldilà
un incontro con te, ora
è tutto ciò che desidero

 

Uomini e donne della nobiltà

La maggioranza degli autori è costituita da uomini, ben 79, mentre le donne sono solamente 21. Gli Imperatori sono 7: Tenchi (poesia n. 1), Yōzei (n. 13), Kōkō (n. 15), Sanjō (n. 68), Sutoku (n. 77), Go Toba (n. 99) e Juntoku (n. 100). C’è anche un principe imperiale, Motoyoshi (n. 20). Gli altri sono membri dell’aristocrazia con varie cariche, da ufficiali di guardia a governatori e ministri, oppure membri del clero.

Tra i più famosi ci sono Sugawara no Michizane (n. 24), che morì in esilio e in seguito fu divinizzato, Ariwara no Narihira (n. 17, di lui parlerò meglio dopo) e il monaco itinerante Saigyō (n. 86). Compaiono anche numerosi compilatori di altre raccolte, come il sopracitato Ki no Tsurayuki (n. 35) e lo stesso padre di Teika, Shunzei (n. 83).

Passando alle donne, tra di loro troviamo un’Imperatrice, Jitō (autrice della poesia n. 2), una principessa imperiale, Shikishi (n. 89), e numerose dame di compagnia. In particolare ci sono l’autrice del Genji Monogatari, Murasaki Shikibu (n. 57) e sua figlia Daini no Sanmi (n. 58), Sei Shōnagon (n. 62, autrice del Makura no Sōshi), Ono no Komachi (n. 9, famosa per il temperamento passionale).

Statua di Murasaki Shikibu a Uji, Giappone

Statua di Murasaki Shikibu a Uji, in Giappone (Jean-Pierre Dalbéra)

 

Non notate nulla da questo breve elenco esemplificativo? Ebbene sì, non c’è neppure una persona appartenente al popolo tra i poeti e le poetesse dello Ogura Hyakunin Isshu. Come anche nei secoli precedenti, quelli del periodo Heian (794-1185) in cui la cultura giapponese fiorì e si sviluppò, all’epoca di Teika a poter accedere ai testi scritti, a poterli studiare e a poterne creare a propria volta, erano ancora prevalentemente i membri dell’aristocrazia e della Famiglia Imperiale.

La popolazione comune dunque era totalmente esclusa, e le opere prodotte da nobili erano fruite esclusivamente da altri nobili. Questa raccolta non fa eccezione. A ben guardare doveva adornare la casa privata di un aristocratico, in origine. Ci vorrà ancora qualche secolo, fino al periodo Edo, perché l’alfabetizzazione si diffonda via via anche nei ceti sociali più bassi, e lo Ogura Hyakunin Isshu diventi rinomato e conosciuto al punto da dare origine a un gioco di carte.

 

Dèi impetuosi

Vorrei concludere questo approfondimento presentando ora più nel dettaglio la poesia n. 17 della raccolta, composta da Ariwara no Narihira. Eccola di seguito.

千早ぶる
神代もきかず
龍田川
からくれないに
水くくるとは
Chihayaburu
kamiyo mo kikazu
tatsutagawa
kara kurenai ni
mizu kukuru to wa
Neanche all’epoca
degli dèi impetuosi si è mai udito:
il fiume Tatsuta
di un rosso intenso
tinge le sue acque

 

Il primo verso è usato nel titolo originale del manga Il gioco di Chihaya. E richiama anche il nome stesso della protagonista, Chihaya appunto. Va da sé che quindi è una poesia che riveste un’importanza centrale all’interno della storia e merita un minimo di spiegazioni extra.

Chihahaburu (o Chihayafuru, in altre trascrizioni) è un makura kotoba 枕詞, ovvero “parola-cuscino”, un’espressione che introduce e specifica il termine che la segue, in questo caso kamiyo, “epoca degli dèi”. Si tratta di una figura retorica della poesia giapponese, il cui uso è antichissimo, risalente con ogni probabilità a quando ancora non esisteva la scrittura.

Per questo motivo, molte di queste espressioni sono difficili da tradurre. E Chihayaburu significa grossomodo “muovere, scuotere a mille velocità” e viene inteso come “agitato, violento, turbolento, infuriato”. Trasmette perciò un’immagine di divinità tumultuose, indomabili, come le forze della natura di cui del resto sono la personificazione, nello Shintoismo.

Kara kurenai è il “cremisi della dinastia Tang”, una tonalità di rosso leggermente scura, ma ancora vivida e brillante. Il fiume Tatsuta, nell’antica provincia di Yamato, era famoso per gli aceri che crescevano lungo le sue sponde e che in autunno assumevano magnifiche sfumature rossastre. Perciò, quando le foglie cadevano abbondanti in acqua, l’impressione era che la “tingessero” di questo colore, così intenso e peculiare che neppure all’epoca degli dèi, ovvero in un tempo antichissimo, nessuno ne aveva mai sentito parlare.

Stampa ukiyo-e del fiume Tatsuta in autunno di Utagawa Hiroshige

Stampa ukiyo-e del fiume Tatsuta in autunno di Utagawa Hiroshige (Museum of Fine Arts Boston).

 

È una poesia di ambientazione chiaramente naturale, che rappresenta una scena ben precisa, ma non è l’unica interpretazione possibile. Infatti, in passato nello scrivere i testi non si usavano segni grafici per distinguere le consonanti sorde da quelle sonore (i cosiddetti dakuten). A causa di ciò, l’ultimo verso della poesia lo potremmo leggere e tradurre anche come:

mizu kuguru to wa
“un rosso intenso cela le sue acque”

Ossia, il fiume è talmente tanto ricolmo di foglie vermiglie che coprono l’acqua che vi scorre sotto. E questa immagine potrebbe costituire facilmente un’allusione a un amore passionale che palpita nascosto alla vista.

Ariwara no Narihira 在原業平 (825-880) in fondo è passato alla storia proprio per le sue numerose avventure amorose. Figlio di principi imperiali ed escluso dalla successione al trono, non ricoprì mai alte cariche a Corte, ma ebbe senza dubbio un successo strepitoso come poeta e amante. Le leggende sull’identità delle sue numerose conquiste abbondano. Ed è alla sua figura che è ispirato il protagonista dello Ise Monogatari, un uomo raffinato e altrettanto dedito ai piaceri dell’amore.

Perciò, anche se questa lettura non è quella universalmente accettata tra i commentatori, non si può dire che sia del tutto priva di fondamento. Forse sarò io un’inguaribile romantica, ma mi piace l’idea che dietro un’apparenza di paesaggio naturale, sia camuffata la dichiarazione di un sentimento forte.

Stampa di Ariwara no Narihira e Nijō no Tsubone al fiume Fuji, Tsukioka Yoshitoshi

Stampa di Ariwara no Narihira e Nijō no Tsubone al fiume Fuji, Tsukioka Yoshitoshi.

 

Trovo davvero sorprendente che versi scritti secoli e secoli fa abbiano trovato una nuova luce in un gioco di carte, solo apparentemente ozioso e banale. E il fatto che riescano, ancora oggi, a trasmettere inalterate le emozioni di chi li ha scritti, li rende eterni, anche in questa nuova forma.

Mi auguro di essere riuscita a contagiarvi con un po’ della mia fascinazione per la poesia giapponese classica, che ancora oggi vanta numerosi appassionati e continua ad essere praticata anche dai membri della famiglia imperiale. E anche con la mia trepidazione per l’uscita del manga Il gioco di Chihaya. Merita davvero una possibilità, e spero che dopo aver letto questo articolo, quando uscirà gliela darete!

 

Fonti:

Teika Fujiwara, La centuria poetica, a cura di Marcello Muccioli, SE, 2010
Peter Macmillan, One Hundred Poets, One Poem Each, Penguin Publishing Group, 2018
Joshua S. Mostow, Pictures of the Heart: The Hyakunin Isshu in Word and Image, University of Hawaii Press, 1999

Autore: <a href="https://hanabitemple.it/author/yuki/" target="_self">Elisa M.</a>

Autore: Elisa M.

Sono piuttosto riservata, perfezionista e con un'anima curiosa: mi piace farmi domande e cercare le risposte. Quasi tutto del Giappone mi interessa e mi appassiona, di cui ho studiato lingua e cultura anche all'università. In particolare ho un debole per la poesia nipponica, così particolare e diversa da quella "occidentale". Sono una lettrice accanita, non solo di romanzi ma anche di fumetti; guardo spesso anime e adoro ascoltare le soundtrack delle serie o dei film che mi piacciono.

0 commenti

Leggi anche

Altre pubblicazioni