Comunità LGBT+ in Giappone: tre storie per conoscerla

da | 29 Giugno 2021 | News, società

La comunità LGBT+ in Giappone è più viva che mai, soprattutto in questi ultimi anni. Il Giappone non ha ancora introdotto leggi a livello statale su unioni civili o matrimoni egualitari, al contrario dei paesi europei e degli Stati Uniti. Non ci sono neanche leggi per tutelare la sicurezza degli appartenenti alla comunità. È proprio per questo che la comunità LGBT+ in Giappone continua a combattere, sia attraverso mezzi innovativi come i manga, sia con testimonianze e iniziative, di cui vi parleremo in questo articolo.

 

La storia di Kumi Yokoyama: “Non avrei fatto coming out in Giappone”

Kumi Yokoyama gioca a calcio nella squadra statunitense Washington Spirits, che milita nella National Women’s Soccer League. In una chiacchierata con la calciatrice Yuki Nagasato sul suo canale Youtube, Yokoyama ha fatto coming out come uomo transgender. D’ora in poi dunque useremo per Yokoyama pronomi maschili. Nel video, pubblicato il 19 giugno, Yokoyama ha spiegato:

“Sto facendo coming out. In futuro voglio lasciare il calcio e vivere da uomo.” 

Il calciatore non era particolarmente entusiasta di dichiarare la sua identità, visto il forte stigma che in Giappone è ancora associato alle persone transgender. Trasferirsi negli Stati Uniti e trovare il supporto di compagne di squadra e amici l’ha aiutato ad essere più a suo agio con la propria identità. Yokoyama ha inoltre spiegato che ha scelto di fare coming out perché, pensando al futuro, sarebbe stato più semplice rispetto a vivere nascondendo la sua identità per il resto della vita.

 

Comunità LGBT+ in Giappone: la condizione delle persone transgender

Yokoyama ha ammesso che non avrebbe rivelato di essere un uomo transgender in Giappone. Il paese infatti impone alle persone transgender di rimuovere i propri organi riproduttivi per vedersi riconosciuto ufficialmente il loro genere. Una pratica che non rispetta la dignità umana, aspramente criticata sia da attivisti per i diritti umani, sia da medici e oggetto di cause giudiziarie.

Il coming out di Yokoyama è avvenuto negli stessi giorni di quello di Carl Nassib, primo atleta della NFL, la Lega nazionale di football americano, a dichiararsi gay. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha accolto con gioia la notizia di questi due coming out e ha twittato:

“A Carl Nassib e Kumi Yokoyama – due atleti prominenti e fonte di ispirazione che hanno fatto coming out in questa settimana: sono così fiero del vostro coraggio. Grazie a voi, oggi moltissimi ragazzi vedono sé stessi in una nuova luce.”

Dopo aver ringraziato amici, compagne di squadra e la propria fidanzata, Yokoyama ha annunciato di voler vivere da uomo e lottare per la comunità LGBT+ in Giappone una volta lasciato il calcio.

“Sempre più persone in Giappone stanno prendendo confidenza con la parola LGBTQ e questa è sempre più presente (nei media), ma penso che la consapevolezza non crescerà a meno che persone come me facciano coming out e facciano sentire la propria voce

ha dichiarato l’atleta.

Cartellone bandiera lgbt+

Una persona mostra un cartello con la bandiera arcobaleno al Tokyo Rainbow Pride 2016 {U.S. Embassy Tokyo via flickr}

La storia di Kaoru Sasaki: lottare per il proprio amore

Kaoru Sasaki è una donna di 51 anni che, fino al 2019, ha lavorato come impiegata per la prefettura di Sapporo. Sasaki, nel luglio del 2018 e nell’aprile del 2019 ha richiesto l’assegno familiare per lei e la compagna. Per provare la loro unione, Sasaki ha presentato un documento prodotto dal governo cittadino di Sapporo che la certificava. Sapporo è stata infatti una delle prime città in Giappone a istituire un registro per le unioni di persone dello stesso sesso. Nonostante ciò, il governo dell’Hokkaidō e un’associazione per la tutela degli impiegati della prefettura hanno negato l’assegno, sostenendo che potesse essere erogato solo a coppie eterosessuali.

Sasaki non si è però lasciata abbattere: ha denunciato il governo locale e l’associazione chiedendo 4,8 milioni di yen (36.417 euro) come risarcimento. Negare l’assegno familiare alle coppie omosessuali sarebbe una violazione della garanzia di uguaglianza sancita dalla Costituzione, secondo la denuncia. Il 9 giugno 2021, subito dopo aver presentato la denuncia, Sasaki ha commentato in una conferenza stampa:

“Alle minoranze sessuali non vengono dati i diritti che meriterebbero. Vogliamo essere trattati normalmente.”

Al momento in Giappone, alle coppie omosessuali mancano alcuni diritti fondamentali: non è possibile ad esempio visitare il partner in ospedale o prendere scelte mediche per esso. Vengono inoltre negati i diritti di genitorialità condivisa e la possibilità di avere gli stessi tagli alle tasse di cui godono le famiglie eterosessuali. Proprio in Hokkaidō si è però mosso qualcosa: lo scorso 20 marzo, un tribunale distrettuale di Sapporo ha dichiarato che vietare i matrimoni gay è incostituzionale.

 

La battaglia di Elin e Midori per “rimanere” sposate

Elin McCready, 47 anni, e Midori Morita, 51 anni, vivono a Tōkyō, sono sposate dal 2000 e hanno 3 figli. Elin è una donna transessuale e nel suo paese natale, gli Stati Uniti, è stata in grado di cambiare i suoi documenti nel 2018, dopo il percorso di transizione di genere. In Giappone però, questo non è ancora stato possibile. La Costituzione giapponese sostiene che il matrimonio è frutto di “un mutuo consenso tra entrambi i sessi”, definizione che impedisce alle coppie omosessuali di poter contrarre matrimonio. Come già scritto, questo comporta il non poter accedere ad alcuni diritti fondamentali, a cui Elin e Midori non vogliono giustamente rinunciare. Le due donne, il 21 giugno 2021, hanno quindi denunciato lo stato e il quartiere di Meguro, dove vivevano, chiedendo 2,2 milioni di yen (16.691 euro) di risarcimento per danni morali.

Funzionari del governo locale hanno proposto alle due donne di sostituire il genere di Elin con la parola enkosha, che indica parentele lontane o relazioni difficili da descrivere. Questa soluzione potrebbe però portare alla perdita dei diritti di cui abbiamo parlato e a problemi burocratici legati alla non corrispondenza dei documenti. Addirittura, se Elin fosse stata giapponese, le sarebbe stato impedito di compiere la transizione perché già sposata con una donna. Il Giappone è l’unico paese del G7 a non riconoscere in alcun modo le unioni omosessuali e vicende come questa non possono far altro che suscitare scalpore.

La comunità LGBT+ in Giappone: la forza dei molti contro la rigidità di pochi

Da queste tre storie appare chiaro quanto ancora il Giappone sia indietro per quanto riguarda il tema dei diritti delle persone LGBT+. Il partito di governo, il Partito Liberal-democratico, si oppone strenuamente all’allargamento dei diritti civili, non solo alle persone LGBT+, ma a molte altre minoranze. La comunità LGBT+ giapponese si dimostra però sempre più unita e determinata a raggiungere i suoi obiettivi: l’amore vincerà anche in Giappone.

 

Fonti:
Asahi Shimbun
Youtube
The Mainichi
The Japan Times

Autore: <a href="https://hanabitemple.it/author/silvia/" target="_self">Silvia Fioravanti</a>

Autore: Silvia Fioravanti

Laureata in Lingue, culture e società dell'Asia e dell'Africa mediterranea, si occupa di news e vorrebbe farne il proprio lavoro. Si interessa soprattutto della società giapponese contemporanea e delle sue tendenze. Segni particolari: amante dei gatti, divoratrice di sushi e grande bevitrice di matcha!

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