Parliamo di arte giapponese con Olivier Mignon

da | 6 Dicembre 2021 | arte, Articoli

Qualche tempo fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Olivier Mignon, un direttore di piattaforme editoriali e riviste specializzate in arte contemporanea. È inoltre proprietario di Keijiban, uno spazio espositivo originale a Kanazawa. Keijiban 掲示板 in giapponese significa “bacheca”, ed è proprio così che bisogna immaginarlo: una piccola teca ai lati della strada, protetta da una lastra di vetro, all’interno della quale di solito si affiggono avvisi o volantini. Rivisitandone l’utilizzo, Olivier ha deciso di esporvi opere di vari artisti stranieri, permettendo loro così di acquisire una visibilità internazionale.

Un’iniziativa affascinante, che pone l’arte sotto gli occhi di tutti, dando nuova vita a un oggetto di uso quotidiano che, molte delle volte, passa inosservato. Scopriamo meglio di cosa si tratta e lasciamoci trascinare dall’entusiasmo del suo fondatore, chiacchierando anche di arte giapponese. 

Una foto di una bacheca con tre fogli. La bacheca è posta lungo un astrada e ai lati si vedono abitazioni in stile giapponese.

Keijiban con delle opere di Adrien Lucca. Immagine presa dal sito

 

Hanabi Temple: Puoi parlarci un po’ di Keijiban? È uno spazio espositivo abbastanza particolare. Perché hai scelto tale modalità per mostrare le opere d’arte? 

Olivier Mignon: Anche se volevo usare il keijiban come vetrina d’arte fin dai miei primi soggiorni in Giappone quasi quindici anni fa. Il progetto concreto è nato nella primavera del 2020, a Bruxelles. Io e mia moglie avevamo già deciso di tornare in Giappone nel prossimo futuro, ma il coronavirus ha fatto precipitare tutto. Il periodo di isolamento ci ha dato il tempo per pensare al nostro trasloco e ai nostri prossimi progetti nei dettagli… L’idea del keijiban in disuso mi è sembrata il modo ideale per mostrare l’arte in un contesto pandemico

I keijiban sono bacheche all’aperto che si possono trovare praticamente ovunque nelle città giapponesi – il più delle volte legate a templi o associazioni di quartiere (informano sulla raccolta dei rifiuti, pubblicizzano corsi di yoga per pensionati, ecc.) Anche se sono onnipresenti, e si suppone che siano bacheche di “avviso”, la maggior parte delle persone non le nota più. Volevo usare questo tipo di spazio per confondersi nel contesto, sfumarsi con lo sfondo. Mi piaceva anche l’idea di creare un contrasto con questa struttura contestuale e invitare solo artisti che vivono all’estero, indipendentemente dalla loro nazionalità, trasformando così questa vetrina altamente locale in una finestra sul mondo esterno.

 

H.T.: Che tipo di opere d’arte presenti?

O.M.: Keijiban non è solo una vetrina d’arte ma anche una casa editrice. Le opere che vi presento sono edizioni limitate, che sono per lo più prodotte qui a Kanazawa, come risultato di una lunga corrispondenza con gli artisti. Le edizioni sono esposte nella vetrina per un mese, a partire dal 15 di ogni mese, dopodiché vengono messe in vendita attraverso il nostro sito web e spedite in tutto il mondo.

 

H.T.: Cosa ti ha portato ad aprire uno spazio espositivo a Kanazawa? Si tratta di un luogo particolarmente favorevole a chi voglia iniziare avventure come questa? O c’è un’altra ragione?

O.M.: Ho vissuto a Kanazawa dal 2012 al 2017, prima di tornare temporaneamente a Bruxelles. Mentre ero in Belgio, mi è mancata molto Kanazawa. È una città così bella e ben conservata, con una storia lunga e ricca. La cultura, e soprattutto l’artigianato, sono stati fortemente promossi per secoli, tanto che è diventata una città molto apprezzata da artigiani, scrittori, ecc. Il Museo d’Arte Contemporanea del XXI secolo, costruito nel 2004 da SANAA, ha reso la città più nota anche sulla scena artistica. Detto questo, non ci sono molti posti nell’area per vedere l’arte “contemporanea”, soprattutto di artisti internazionali. Uno degli scopi di Keijiban è quello di contribuire a colmare questa lacuna.

 

H.T.: Come scegli gli artisti che presenti? Hai intenzione di presentare artisti giapponesi in futuro?

O.M.: La scelta è intuitiva, basata su affinità elettive. Molti degli artisti sono persone con cui ho già lavorato, o che ho aspettato a lungo l’occasione giusta per invitare.
Detto questo, la vetrina è una struttura espositiva piuttosto particolare, ed è profonda solo pochi centimetri, quindi favorisco le pratiche artistiche che sono principalmente impegnate in lavori bidimensionali, e che si occupano di contestualità e/o di una sorta di dialogo di fondo con la cultura giapponese.

La premessa di Keijiban è di invitare artisti che vivono all’estero a presentare il loro lavoro in un contesto molto locale a Kanazawa, indipendentemente dalla loro nazionalità. Quindi sì, potrei presentare artisti giapponesi in futuro, purché abbiano sede fuori dal Giappone. 

 

H.T.: Infine, non posso non chiederti dell’impatto che la pandemia ha avuto sulla scena artistica giapponese e sui tuoi progetti.

O.M.: Come nel resto del mondo, musei e gallerie hanno dovuto chiudere temporaneamente, di tanto in tanto, e prendere misure per accogliere i visitatori. È ovviamente un periodo molto impegnativo per chiunque abbia a che fare con l’arte e la sua presentazione. Per quanto riguarda i miei progetti, non sono stati davvero colpiti dalla pandemia, dato che Keijiban è stato concepito proprio in quel contesto ed è stato pensato per essere resistente al problema Covid-19 dato che la sua vetrina è all’aperto, visibile in qualsiasi momento, e le edizioni sono disponibili online.

Un edificio circolare fatto di vetrate e strutture bianche cubiche si allunga in un prato verde.

Il Museo di arte contemporanea del XXI secolo di Kanazawa da Wikimedia Commons

 

 

H.T.: Cosa pensi della scena artistica giapponese, sia in senso globale che a livello locale? Ci sono eventi o spazi (musei, centri d’arte, gallerie) che attirano la tua curiosità in modo particolare? 

O.M.: È difficile rispondere a questa domanda, perché ci sono così tante gallerie e spazi d’arte…
Inoltre, devo dire che sono stato attratto dal Giappone e dalla sua cultura soprattutto attraverso la letteratura, il cinema, la musica, l’architettura, il design, l’artigianato, ecc. e non tanto attraverso l'”arte visiva”. 

 

 H.T.: Considerando la tua esperienza nel mondo dell’arte europea e giapponese, come diresti che la scena artistica giapponese differisce da quella europea?

O.M.: In realtà, anche se sono stato attivo come editore e curatore per quindici anni, ho sempre cercato di mantenere le distanze dal “mondo dell’arte”, ovunque esso sia, qualunque cosa significhi… Troppo compromettente. Mi concentro su incontri singolari con un’opera d’arte. Alla fine, l’arte è un’esperienza solitaria.

Un edificio metallico emerge da una bruma densa e bianca

Una delle installazioni di Nakaya Fujiko (n.1932) fuori dal Guggnheim Museum di Bilbao. Una bruma densa si alza dal suolo in quella che l’artista definisce una “Scultura di nebbia” Foto di Phillip Maiwald

H.T.: Chi sono i tuoi artisti giapponesi preferiti, del passato o contemporanei? 

O.M.: Mi vengono in mente così tanti nomi… Sengai 仙厓 義梵 Matsuzawa Yutaka 松澤宥, Takamatsu Jirō 高松 次郎, Hi-Red Center, Nakaya Fujiko 中谷 芙二子, Shimabuku 島袋道浩, Homma Takashi ホンマタカシ…

 

N.d. R.: Per i curiosi, ecco alcune note sugli artisti citati.

Sengai Gibon (1750–1837) era un monaco della scuola Rinzai che usava spesso un linguaggio artistico accessibile ai fedeli nei suoi dipinti a inchiostro.

Matsuzawa Yutaka (1922-2006) fu un artista concettuale che sviluppò un’arte dematerializzata, influenzata da concetti buddhisti e parapsicologici. Sempre critico verso l’establishment dell’arte, grazie alla sua personalità carismatica aveva anche riunito una comunità di artisti che condividevano le sue visioni inconsuete.

Takamatsu Jirō (1936-1998) è uno dei tre fondatori, insieme a Genpei Akasegawa e Natsuyuki Nakanishi del Hi Red Center, un gruppo di artisti attivi negli anni sessanta. Il collettivo è famoso per aver organizzato happening intrise dello spirito contestatore del periodo, sfidando l’autorità del governo locale e dell’influenza statunitense. Una delle azioni più famose è avvenuta su un treno della linea Yamanote nel 1962, e ha visto gli artisti impegnati nello sconvolgimento della routine dei passeggeri impiegando gli oggetti e i movimenti più inconsueti.

Nakaya Fujiko (n. 1933), pioniera dell’arte in combinazione con tecnologia e scienza, ha iniziato come pittrice a inchiostro, per esplorare i media più disparati. Oltre a aver collaborato con icone ella video arte, è famosa per le sculture di nebbia, frutto di una ricerca ingegneristica oltre che artistica.

Shimabuku (n. 1969) provoca riflessioni sulla tecnologia di oggi in film, fotografie, performance e installazioni, ad esempio affilando un computer portatile come se fosse l lama di un utensile primitivo. 

Homma Takashi (n. 1962) è un fotografo di Tōkyō, cha ha fatto della città un inesauribile soggetto. Dal Giappone agli Stati Uniti, i paesaggi e i dettagli dell’urbaintà più radicale no sfuggono alla sua lente vigile.

 

H.T.: Se dovessi introdurre qualcuno all’arte giapponese (contemporanea o classica), quale artista/mezzo/forma d’arte/podcast/libro gli consiglieresti?

O.M.:How to Wrap Five Eggs: Traditional Japanese Packaging(Come confezionare cinque uova: imballaggio giapponese tradizionale) di Oka Hideyuki 岡秀行. Questo libro racchiude tutto ciò che rende l’estetica giapponese così attraente per me: raffinatezza quotidiana, rispetto per gli oggetti, concisione eccentrica.

 La copertina del libro "How to wrap five eggs" con cinque uova legate con una corda. Arte giapponese Olivier Mignon

La copertina di “How to wrap five eggs” di Hideyuki Oka

 

Questa conversazione con Olivier Mignon ci ha reso ancora più curiosi di visitare Keijiban e Kanazawa, e nel frattempo ricercare l’opera di questi artisti o riscoprirli con occhi nuovi. Hi-Red Center citato da Mignon in particolare è un collettivo innovativo della scena degli anni sessanta senza il cui contributo l’arte giapponese non sarebbe la stessa. Chissà che tra gli artisti esposti a Keijiban, tra cui Jacqueline Mesmaeker, Denicolai & Provoost, Adrien Lucca, Ryan Gander, Aglaia Konrad, non ci siano rivoluzionari altrettanto coraggiosi?

In questa intervista abbiamo parlato di un progetto che si propone di portare artisti stranieri sul suolo giapponese per farli conoscere, ma, ribaltando la prospettiva, ci sono anche artisti giapponesi che invece operano all’estero. Una di loro è Takako Saito, vi rimandiamo al nostro articolo sulla sua opera.

Autore: <a href="https://hanabitemple.it/author/valentina-bianchi/" target="_self">Valentina Bianchi</a>

Autore: Valentina Bianchi

Ho avuto la fortuna di studiare nella bellissima Venezia, prima Cultura e Lingua del Giappone, poi Economia e Management delle Arti. Sono appassionata di arte giapponese e cerco sempre di scoprire nuovi artisti e di saperne di più su quelli che già conosco e amo. Vivo a Bruxelles, dove scrivo per siti web e riviste online e lavoro con organizzazioni locali e internazionali nel campo dell'arte contemporanea in connessione con la scienza e la sostenibilità.

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