Storia dell’animazione giapponese: 100 anni di anime

da | 17 Febbraio 2023 | Articoli, letteratura, recensione

L’animazione giapponese fa parte del nostro immaginario da sempre. Infatti, di generazione in generazione, siamo cresciuti con le serie animate trasmesse in televisione. Chi potrebbe dire di non averne mai vista una?
C’è chi non si è perso un episodio de L’uomo Tigre, chi ha inseguito il sogno assieme a Holly e Benji, chi si è improvvisato detective assieme allo scaltro protagonista di Detective Conan.

Ho citato solo pochissimi esempi del vasto panorama di anime giapponesi che hanno fatto parte della nostra infanzia e non solo. Storia dell’animazione giapponese di Guido Tavassi non solo approfondisce questo panorama, ma lo sviscera, donandoci infine un’analisi curata nel dettaglio.

Se oggi sono qui a parlare di questa importante opera il merito va alla casa editrice Tunué che ancora una volta, dopo il precedente Anime e Sport di Fabio Bartoli, ci ha premiati con la sua fiducia inviandoci una copia del saggio di cui vorrei parlare oggi. E ovviamente il merito va anche all’autore di questo saggio, Guido Tavassi: avvocato di professione e appassionato di animazione giapponese, sulla quale ha deciso di ampliare i suoi studi. Scrive articoli legati all’animazione nipponica e Storia dell’animazione giapponese costituisce senza dubbio la sua opera più importante.

 

Copertina di Storia dell'animazione giapponese

La copertina di “Storia dell’animazione giapponese”

 

 

Storia dell’animazione giapponese: la ricchezza nei dettagli

Storia dell’animazione giapponese risale al 2012, ma a dicembre 2022 ha debuttato in una nuova veste aggiornata. Adesso l’opera si presenta rinnovata e ricca di materiale extra, con fatti storici che arivano fino al 2020 (si consideri che la sua stesura è terminata nel 2021).

Non appena ho aperto il pacco contenente questo librone mi sono stupita del suo volume, che conta, considerando introduzione, epilogo e bibliografia, più di 900 pagine! Credo che già questo permetta di capire quanto l’autore sia sceso in profondità con le sue spiegazioni.

Come dice il titolo stesso, il saggio consiste in una minuziosa analisi della storia dell’animazione giapponese, che a oggi è ricchissima. Sembrerebbe impossibile stilare un elenco di tutti gli autori, registi, sceneggiatori, titoli di serie televisive, cortometraggi e lungometraggi, di generi e personaggi del mondo dell’animazione. Tavassi però, ci prova e ci riesce, dividendo ogni capitolo in tre grandi aree:

  • il contesto storico, sociale e politico dell’epoca;
  • le tendenze e i generi dell’animazione, fortemente influenzati da quello che viveva il paese a livello sociale ed economico;
  • gli autori e le opere uscite in quegli anni, che non sono da considerare come semplici esempi, perché concretizzano ogni concetto che l’autore ha espresso precedentemente.

Questo “schema” fa sì che la lettura dell’opera sia scorrevole e, soprattutto, comprensibile. Non solo: è un modello che incuriosisce maggiormente il lettore, che non vede l’ora di leggere la pagina successiva per scoprire se c’è l’autore o il titolo che gli è più caro.

 

Pagine da Storia dell'animazione giapponese

Pagine all’interno del libro

 

A chi consiglierei “Storia dell’animazione giapponese”?

Innanzitutto, sappiate che non è un libro da leggere la sera prima di coricarsi, non solo per la tematica ma anche per le sue dimensioni, che lo rendono pesante e scomodo da sfogliare sul letto.

Dopo una prima fase infatti, ho capito che avrei dovuto portare avanti la lettura esattamente come facevo per gli esami universitari: seduta alla scrivania e prendendo appunti su un quadernino a parte. Difatti, consiglierei il saggio in primis a chi studia in questo ambito, che sia all’università o in altri contesti.

In secondo luogo, lo consiglio a chi, come me, è appassionato di animazione giapponese e vuole andare oltre al semplice interesse. Leggendo l’opera di Tavassi scoprirete da dove nascono le pellicole e le serie che tanto vi appassionano, e da dove hanno preso l’ispirazione.

Da qui in avanti vorrei proporre giusto un assaggio di ciò che si trova al suo interno. Non è altro che una piccolissima selezione di autori e opere, determinata dai miei interessi, che spero vi aiuti a inquadrare meglio il contenuto.

 

Pagine da Storia dell'animazione giapponese

Pagine all’interno del libro

 

L’animazione propagandistica: il divino Momotarō

Durante gli anni della seconda guerra mondiale l’animazione, da semplice intrattenimento per bambini, è diventata vera e propria propaganda militare. Il protagonista animato di quest’epoca è stato il divino Momotarō, tratto da una fiaba tradizionale giapponese molto popolare, che verte sulle eroiche imprese del soltado presso l’isola dei demoni (Onigashima).

Emblema di questo periodo fu la pellicola Momotarō no umiwashi (“Momotarō e le sue aquile dei mari”) di Mitsuyo Seo, uscita nel 1943 e destinata a celebrare l’attacco dei giapponesi a Pearl Harbor. Come spiega Tavassi, questa pellicola è rimasta nella storia per due motivi, uno bello e l’altro un po’ meno. Primo: è il film d’animazione più lungo mai realizzato fino a quel momento (37 minuti), tra l’altro con maestria e tecnica degne di nota per l’epoca. Rovescio della medaglia: la sua propaganda l’ha fatto sfociare in un razzismo e in una xenofobia mai visti, soprattutto nei confronti degli americani.

Visto il successo, venne finanziata subito un’altra pellicola con lo stesso protagonista: Momotarō umi no shinpei (“Momotarō, il divino guerriero dei mari”). Si tratta del primo lungometraggio d’animazione giapponese, della durata di 74 minuti. L’anno di uscita e il momento, però, non furono certamente l’ideale per la propaganda nazionalista: aprile 1945, con la fine della guerra imminente e un Giappone alla stregua delle forze e pronto alla sconfitta.

Prendendo l’esempio di Momotarō, non posso non trovare assurdo e pericoloso sfruttare l’innocenza dell’animazione (destinata principalmente ai bambini) per scopi propagandistici. Come sappiamo, è una pratica fin troppo abusata nella storia, che si lega alla censura di tutto quello che va contro determinate ideologie. Insomma, a conti fatti a rimetterci è la forma d’arte stessa, che in un modo o nell’altro va a perdere dei pezzetti di sé.

 

La nuova era dell’animazione giapponese e lo “stile Disney”

La Tōei Dōga, che oggi conosciamo come Tōei Animation, nasce dalla volontà di Hiroshi Ōkawa (uomo d’affari e ragioniere) di portare il cinema alle classi meno abbienti, a bambini e adolescenti. Ha prodotto Hakujaden (“La leggenda del serpente bianco”), uscito nel 1958, considerato il film che segnò l’inizio della “nuova era dell’animazione nipponica”. La trama prende ispirazione da un racconto tradizionale cinese.

Questa pellicola è una delle prime in stile Disney, come lo saranno molte altre dell’epoca. Caratteristiche del colosso statunitense sono, ad esempio, la presenza del tradizionale principe azzurro e del lieto fine, entrambi lontani dalla versione originale cinese.

 

Poster del film di animazione giapponese Hakujaden di Hiroshi Ōkawa (Tōei Dōga)

Poster giapponese del film Hakujaden di Hiroshi Ōkawa (1958) ©Tōei Dōga

 

L’importanza di ispirarsi a Disney non è legata solamente all’arte, ma anche al commercio e al guadagno. Film come Saiyūki (“Le 13 fatiche di Ercolino”, 1960), ispirato al manga di Osamu Tezuka Boku no Son Gokū (“Il mio Son Goku”), contiene elementi apprezzabili e d’interesse anche per i bambini occidentali. È proprio in quel periodo infatti che si apre il commercio con gli Stati Uniti, che porteranno in patria un altro grande successo dello stesso Tezuka.

 

Mushi Production, un punto di riferimento per la futura animazione giapponese

Con la nascita di Mushi Production, studio d’animazione fondato da Osamu Tezuka, nel 1963 viene presentata la serie televisiva Tetsuwan Atom (Astro boy), tratta dall’omonimo manga del re dei fumetti. È stata una delle prime storie ad essere prodotte in serie in Giappone, e naturalmente ebbe un successo tale da essere ancora oggi ineguagliabile. Questo anche perché Astro boy è stata senza dubbio la prima serie animata con gli elementi estetici che lo hanno reso precursore di tutto il resto.  Anche per questo gli Stati Uniti non aspettarono molto prima di acquistare i primi episodi della serie, che vennero trasmessi quasi in contemporanea col Giappone.

Oggi diremmo che tra l’animazione giapponese e quella di Disney ci sono delle grandissime differenze, e in effetti è così. È interessante però notare quanto la multinazionale statunitense abbia ispirato i piccoli (divenuti poi grandi) studi giapponesi, e come la “rivalità” tra loro abbia reso l’animazione nipponica quella che è oggi.

 

Hayao Miyazaki e la nascita dello Studio Ghibli

Facciamo un salto temporale e arriviamo al 1984. Questo è l’anno del debutto al cinema di un film destinato a cambiare l’animazione giapponese: Kaze no tani no Nausicaä (Nausicaä della valle del vento) dell’allora poco conosciuto Hayao Miyazaki.  La pellicola è destinata a rimanere nella storia, e solo un anno dopo Miyazaki fonda il celebre Studio Ghibli insieme a personaggi del calibro di Isao Takahata, Toshio Suzuki e Yasuyoshi Tokuma.

Le opere dello Studio Ghibli sono tante e, nonostante siano trascorsi diversi anni, ancora oggi continuano ad essere apprezzate e amate da persone di ogni età. In Storia dell’animazione giapponese Tavassi parla di “due anime del Ghibli”, ovvero quella magica e quella più realista. Si possono riscontrare in due pellicole uscite nel 1988: Tonari no Totoro (Il mio vicino Totoro) e Hotaru no haka (Una tomba per le lucciole).

 

Screenshot dal film di animazione giapponese Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki (Studio Ghibli)

Screenshot dal film Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki (1988) © Studio Ghibli

 

Il primo è stato scritto e diretto da Miyazaki, ed è sicuramente uno dei film Ghibli più noti. La storia è leggera e spensierata (nonostante ci siano alcuni momenti malinconici). Basta uno sguardo verso il personaggio di Totoro, spirito della foresta con le sembianze di un grosso animale, per sentirsi subito al sicuro. Non per niente oggi è considerato la mascotte dello Studio!

Meno lieta è la trama di Una tomba per le lucciole di Isao Takahata, realistica in modo crudele e spiazzante. Ambientata nella Kobe del 1945, racconta di un ragazzino che cerca di prendersi cura della sorella minore mentre i bombardamenti devastano la città. Una storia atroce, che mette completamente a nudo l’essere umano.

Due storie diversissime dalla medesima provenienza.

 

Le due anime di Ghibli

Un altro lampante esempio del dualismo dello Studio Ghibli giunge nel 2013, quando ancora una volta due opere molto differenti tra loro debuttano nello stesso anno. Mi riferisco a Kaze tachinu (Si alza il vento) di Miyazaki, e Kaguya-hime no monogatari (La storia della principessa splendente) di Takahata.

Stavolta è Hayao Miyazaki a basarsi su una storia vera, quella dell’ingegnere aeronautico Jirō Horikoshi, che progettò il caccia utilizzato dai giapponesi durante la guerra del Pacifico. Una scelta senz’altro audace quella del regista, a causa delle controversie che crea il personaggio in questione.

Horikoshi, infatti, è dipinto come un uomo appassionato dei suoi studi e del suo lavoro, e allo stesso tempo amante della vita. Viene rappresentato in contrapposizione con il velivolo che ha creato e gli scopi che ha avuto nel secondo conflitto mondiale. In questo senso, non manca mai l’ideologia contraria alla guerra che ha accompagnato il vero Horikoshi e Miyazaki stesso.

La storia della principessa Splendente, invece, è l’ultimo lavoro da regista di Takahata, basato sul racconto tradizionale Taketori monogatari (Storia di un tagliabambù). Narra della Principessa Kaguya che un giorno, quando è ancora in fasce, viene trovata all’interno di un fusto di bambù. L’uomo che la rinviene interpreta l’evento come un segno divino, e la principessa di certo non è umana. Eppure i sentimenti che ella coltiva lo sono in tutto e per tutto, e Takahata riesce a raccontarli con grande delicatezza.

Sembra che il regista intendesse fare un film ispirato a questa leggenda addirittura dal lontano 1958. Possiamo dire di essere più che felici per esserci riuscito, e in maniera eccellente!

 

Talenti andati via troppo presto…

Nel libro di Tavassi si parla di tanti registi, sceneggiatori e fumettisti, tra i quali c’è Satoshi Kon, uno dei maestri di cui non smetteremo mai di sentire la mancanza. Regista, sceneggiatore e fumettista, nonostante la breve carriera ha lasciato un’eredità di un valore inestimabile. Kon debutta nel mondo del cinema nel 1998 con Perfect Blue, pellicola che definisce il suo stile, indelebile e inimitabile.

Perfect Blue è un thriller psicologico, che a tratti sfocia nell’horror, ambientato nel complicato mondo delle idol giapponesi e del loro (pazzo) fandom. Ma ad attirare maggiormente l’attenzione in questo film è la mescolanza tra il mondo reale e quello onirico, come succede anche in un altro film di grande successo di Kon, Paprika (2006). Il sogno sembra infatti essere parte della vita reale per il regista, che non smette mai di rappresentarlo nei suoi film. La pellicola che resta di più “coi piedi per terra” è Tokyo Godfathers (2003), buffa storia di tre senza tetto che si improvvisano genitori dopo aver trovato un neonato nella spazzatura.

 

Pagine a colori da Storia dell'animazione giapponese

Illustrazioni all’interno del libro

 

…e quelli arrivati giusto in tempo

Negli anni d’oro di Satoshi Kon, fa il suo debutto un regista che sembra essere la nuova stella dell’animazione giapponese, Makoto Shinkai. Il regista si è fatto conoscere con Hoshi no koe (La voce delle stelle, 2002), presentato come video artigianale autoprodotto dallo stesso Shinkai.

Da lì in poi, con la stretta collaborazione dello studio d’animazione CoMix Wave Films, il cineasta produce una serie di lungometraggi destinati ad essere ricordati. Tra i più famosi: Byōsoku go senchimētoru (5 cm al secondo) nel 2007, Kotonoha no niwa (Il giardino delle parole) nel 2013, Kimi no na wa (Your Name) nel 2016,  e Tenki no ko (Weathering with you) nel 2019.

Tra questi, a consacrarlo nel mondo dell’animazione giapponese è certamente Your Name. Il film riassume perfettamente la tematica più cara a Shinkai: l’inevitabile lontananza di due anime che, nonostante il tempo e il luogo, si amano incondizionatamente.

Screenshot dal film di animazione giapponese Kimi no Na Wa di Makoto Shinkai (CoMix Wave Films)

Screenshot dal film Kimi no Na Wa di Makoto Shinkai (2016) © CoMix Wave Films, Toho

 

“Storia dell’animazione giapponese” è il troppo che non stroppia

Tirando le somme, ho trovato la lettura del mega libro di Guido Tavassi piacevole e molto stimolante. Essendo un’appassionata di animazione nipponica, ho avuto modo di esplorarla ancora di più e di conoscere cose che da sola non avrei scoperto. Oggigiorno diamo per scontate tante cose mentre guardiamo una serie o un film al cinema, e credo che quasi mai pensiamo alla storia che c’è dietro.
La lettura di questo saggio mi ha portata ad apprezzare di più le caratteristiche degli anime nei loro periodi storici, e soprattutto a capirle.

È vero che nell’opera sono presenti un mare di nomi, titoli e aneddoti, oltretutto spiegati nel minimo dettaglio. Il linguaggio semplice e diretto, però, rende tutto fruibile e mi ha tenuto incollata al libro. Ad accompagnare i vari paragrafi inoltre ci sono le immagini di alcune opere trattate (anche vecchissime), o le foto di autori e registi. Ad avermi particolarmente attratta sono quelle dei primi corti completamente in bianco e nero, degli anni ‘20 e ‘30.

È stato bello poi leggere di autori che non conoscevo, ma ancora più bella è stata l’attesa di personalità che mi aspettavo, per poterle approfondire ancora di più.  Ad esempio, aspettavo con ansia che arrivasse il capitolo su Hayao Miyazaki e il suo Studio Ghibli. Non vi dico lo stupore quando ho scoperto che Il castello errante di Howl è consinderata un’opera tra le meno riuscite del regista (ma che resta una delle mie preferite!).

Oppure non vedevo l’ora di imbattermi in Mamoru Hosoda, la cui filmografia è sempre più ampia e importante nel panorama dell’animazione giapponese. Menzione speciale anche per Makoto Shinkai, regista considerato geniale da molti, ma che sembra dividere il pubblico, soprattutto dopo l’uscita di Your Name.

Insomma, Storia dell’animazione giapponese mi ha permesso di capire la stratificazione di questo mondo, fatto di tecniche e stili variegati, di idee e approcci molto lontani e anche di gusti personali. È grazie anche a questa diversità che oggi abbiamo una tale ricchezza di generi, che oggi posso dire di conoscere un po’ di più.

 

Copertina di Storia dell'animazione giapponese

 

Dove acquistarlo

Storia dell’animazione giapponese di Guido Tavassi è disponibile per l’acquisto sul sito di Tunué, in libreria e sulle principali piattaforme di ecommerce.

Autore: <a href="https://hanabitemple.it/author/maria-tamburini/" target="_self">Maria Tamburini</a>

Autore: Maria Tamburini

Laureata in Lingue Occidentali, è da sempre appassionata di culture straniere, in particolare di quella giapponese. Amante di quella parte più pop del Giappone, che comprende manga e anime, è appassionata anche di arte e letteratura. Le piace molto scrivere, ecco perché, per completare le sue passioni, scrive news per Hanabi Temple.

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